S.O.S. Italia
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Perchè il Blog
La politica è arroccata su posizioni di potere, priva di ideali e di idee...
I politici credono di essere decisori "eletti" del nostro domani e con arroganza utilizzano mezzi leciti e illeciti per perseguire i propri obiettivi, spesso personali, calpestando il mandato che gli viene dato dagli elettori.
La politica di oggi è una convivenza di "Cricche" nelle quali interessi forti comprano le agende politiche a scapito degli interessi della maggioranza e del benessere di tutti.
Come recitava Gaber "libertà è partecipazione" e questo blog vuole la partecipazione di Tutti coloro che condividono che la politica è un bene comune, che deve mettere in prima posizione una visione etica della società nei comportamenti individuali e di gruppo a prescindere dall' essere di Destra, di Centro e di Sinistra.
Questo blog vuole mettere in prima posizione il confronto di idee, opinioni e proposte per occupare lo spazio lasciato vuoto dalla politica e tenere un presidio di democrazia che abbia come cuore la Società Civile.
Solo mettendoci la faccia possiamo pensare di costruire un domani dove poter migliorare la qualità della nostra vita e essere fieri di crescere i nostri figli.
mercoledì 16 giugno 2010
Una società senza baroni ( e possibilmente senza università) di Ilvo Diamanti (Repubblica)
La posizione dei professori universitari è, in parte, diversa. Difficile sostenere che non contino nulla. Ma, sicuramente, sempre meno. D’altronde, nell’università (iniziale minuscola) non si investe più. (Come nella Cultura: iniziale maiuscola.) Un ambiente in cui è lecito risparmiare, “tagliare”, se hai bisogno di ridurre la spesa pubblica. Tanto la colpa è soprattutto loro. Dei Baroni. Che costano tanto e fanno poco. Anzi, nulla. In fondo sono “statali”. I Baroni: non si riesce a mandarli via. Fino a pochi anni fa andavano in pensione quasi a 80 anni. Poi, l’età della pensione, per loro, si è abbassata. Fino a 70. Raro caso – forse unico - in cui si spinge per anticipare l’età della pensione, invece di ritardarla. Ma, come si sa, i Baroni non solo costano, fanno poco o nulla. In aggiunta, impediscono il reclutamento dei più giovani. Visto che, ormai, l’età media dei ricercatori si aggira intorno ai 50 anni. Mentre l’università si è popolata di figure precarie che più precarie non si può. Assegnisti, borsisti, contrattisti. Chiamati, per quattro soldi (e a volte neppure quelli) a far di tutto. Anche lezione, ovviamente. Come i ricercatori – sempre più attempati, ma ancora ricercatori. E chiamati, ovviamente, a tenere corsi, a fare anch’essi i “professori”. Senza esserlo. Anzi, restando ricercatori – a vita. Visto che il reclutamento è bloccato (non dai Baroni) e loro sono divenuti un ruolo “a esaurimento”. Rimpiazzati da nuovi ricercatori – ma a tempo determinato. Tanto per chiarire che il futuro dell’università è incerto. A tempo determinato, appunto. Come la cultura. Di eterno, ormai, c’è solo il presente. E il premier.
Così, per rimediare, per svecchiare il corpo docente, per ridurre la spesa universitaria, per accelerare il turnover, conviene spingere i Baroni fuori dall’università il più presto possibile. Va in questa direzione la proposta del PD approvata dall’Assemblea nazionale: mandare i Baroni in pensione “ obbligatoria” a 65 anni. Mario Pirani, nella sua “Linea di confine”, una settimana fa ha già espresso, al proposito, critiche molto accurate. Da me, molto condivise. A cui aggiungerei un appunto. Molto personale – lo ammetto.
Riguardo all’invecchiamento dei Baroni, ma anche gli altri: i Conti e gli Scudieri. Gli Associati e i Ricercatori. I quali sono “vecchi” non (tanto) per colpa dei Baroni, eterni e immortali. Ma del meccanismo stesso che regola il reclutamento e le carriere nell’università. Autobiograficamente: io, che non ho avuto Baroni a trainarmi, ma molti colleghi e maestri, con i quali ho collaborato, studiato, scritto e pubblicato, ebbene, sono diventato di “ruolo”, ho, cioè, vinto il concorso di ricercatore, quando avevo 40 anni. Prima - e per 14 anni - ho fatto il precario. A mia volta: assegnista, borsista, “ esercitatore”. E poi dottorando e dottorato. Per mantenermi (ma anche per passione), ho diretto un ufficio studi sindacale, poi ho fatto il ricercatore di professione. Così come, durante gli studi universitari, per sostenere i costi e aiutare la famiglia, ho fatto molti altri “lavori”. Fra l’altro: il benzinaio, l’assicuratore, il venditore di enciclopedie, l’operaio. Un’esperienza veramente formativa.
Poi, a 40 anni, dopo tanti anni precari, tante ricerche e tante pubblicazioni (non avere Baroni ha i suoi lati positivi; in particolare: sei più libero), finalmente ricercatore. E quindi uno stipendio regolare per fare quel che mi piace e avevo, comunque, fatto da sempre. Per questo non l’ho mai concepito come un “lavoro”. Da allora, pochi anni dopo, sono divenuto un Barone (ora si dice così). Anche se come Barone sono un disastro, a valutare dalla capacità di curare la politica interna all’accademia (per informazioni, chiedere ai colleghi – più giovani - che collaborano con me). Preferisco fare ricerca, scrivere, insegnare piuttosto che gestire i concorsi. Se davvero mi chiedessero di andare in pensione a 65 anni, temo che, alla scadenza, non raggiungerei i requisiti minimi di anzianità richiesti. A meno di non “riscattare” (si dice così?) gli anni della laurea, del dottorato, ecc… A un costo, mi si dice, tale da azzerare i primi anni di pensione. Per fortuna, ho ancora un po’ di tempo – un po’ di anni di università - davanti, per organizzarmi.
Tuttavia, dubito seriamente che, al mio posto e con il mio stipendio, entrerebbero tre nuovi, giovani ricercatori, come si ipotizza. Intanto perché di giovani, all’università, non ne vedo più. I collaboratori, intorno a me, ormai hanno i capelli bianchi, hanno messo su famiglia, sprezzanti del rischio: hanno persino fatto figli. Magari potessero subentrare a me, loro, precari ad alta qualificazione e con “tanti tituli”. Se così fosse davvero, me ne andrei prima. Anche subito. Magari all’estero, dove in un paio di università, almeno, e in un paio di paesi, almeno, un vecchio Barone come me troverebbe ancora posto. Senza molti problemi
Ma continuo a dubitare che al posto dei Baroni 50-60enni, subentrerebbero davvero tanti giovani ricercatori. Credo e, anzi, temo che – invece - il “taglio” avverrebbe con pochi rammendi. Senza turnover. Chi è fuori ci resterà, raggiunto dai neopensionati. Tutti in cammino verso una società senza (o meglio: con sempre meno) “statali”. E senza Baroni. Verso una società popolata da lavoratori autonomi. Artigiani, commercianti, liberi professionisti. Imprenditori. Grandi, medi, piccoli e piccolissimi. E da lavoratori dipendenti. Ma Privati. D’altronde, come rammentava Eugenio Scalfari domenica scorsa, “gli statali votano in larga maggioranza a sinistra”. E, aggiungo, i Baroni ancor di più. “Il loro scontento non peserà, se non marginalmente, sul consenso raccolto dal governo”. Perché mai, dunque, dovrebbe preoccuparsene il governo insieme alla Lega e al centrodestra?
Mi sfuggono, semmai, i motivi, le ragioni per cui ci stiano pensando l’opposizione e il PD. Forse perché è più facile – e popolare - combattere i Baroni che il Cavaliere.
(31 maggio 2010)
lunedì 14 giugno 2010
Rifkin, L'energia fai-da-te. Così ci salveremo dal nucleare di RICCARDO STAGLIANÒ
Una fatica inutile. Perché se anche rimpiazzassimo nei prossimi anni tutte le centrali nucleari esistenti nel mondo, il risparmio di emissioni sarebbe comunque un'inezia. Un quarto di quel che serve per cominciare a rimettere le briglie a un clima impazzito. Jeremy Rifkin non ha dubbi: quella atomica è una strada sbagliata, di retroguardia. Come curare malattie nuovissime con la penicillina. E non c'è neppure bisogno dei campanelli di allarme tipo Krsko per capirlo.
Basta guardare i numeri senza le lenti dell'ideologia. Proprio l'attitudine che, in Italia, scarseggia di più per il guru dell'economia all'idrogeno. Si vedrebbe così che l'uranio, come il petrolio, presto imboccherà la sua parabola discendente: ce ne sarà di meno e costerà di più. E che il problema dello smaltimento delle scorie è drammaticamente aperto anche negli Stati Uniti dove lo studiano da anni. "Vi immaginate uno scenario tipo Napoli, ma dove i rifiuti fossero radioattivi?" è il suo inquietante memento. Meglio puntare su quella che lui chiama la "terza rivoluzione industriale".
L'incidente all'impianto sloveno arroventa il dibattito italiano, a pochi giorni dall'annuncio del ritorno al nucleare. Cosa ne pensa?
"Ho parlato con persone che hanno conoscenza di prima mano dell'incidente, e mi hanno tranquillizzato. Non ci sono state fughe radioattive e il governo ha gestito bene tutta la vicenda. Ho lavorato con l'amministrazione Jan%u0161a e posso dire che hanno sempre dimostrato una leadership illuminata nel traghettare la Slovenia verso le energie rinnovabili. Non posso dire lo stesso di tutti i paesi europei, ma posso lodare le politiche energetiche di Ljubljana".
Superata questa crisi, in generale possiamo sentirci sicuri?
"Il problema col nucleare è che si tratta di un'energia con basse probabilità di incidente, ma ad alto rischio. Ovvero: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe. Come Chernobyl".
Il governo italiano ha confermato l'inizio della costruzione delle nuove centrali entro il 2013. Coerenza o azzardo?
"Non capisco i termini della discussione in corso in Italia. Amo il vostro paese, lo seguo da anni ma questa volta mi sento davvero perso. I sostenitori dicono: il nucleare è pulito, non produce diossido di carbonio, quindi contribuirà a risolvere il cambiamento climatico. Un ragionamento che non torna se solo si guarda allo scenario globale. Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari e producono circa il 5% dell'energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. E nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se lo fossero tutte si tratterebbe di un risparmio del 5%. Ora, per avere un qualche impatto nel ridurre il riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui".
Un finto argomento quindi quello del nucleare "verde"?
"Non in assoluto, ma relativamente alla realtà, sì. Perché il passaggio al nucleare avesse un impatto sull'ambiente bisognerebbe costruire 3 centrali ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni. Così facendo fornirebbe il 20% di energia totale, la soglia critica che comincia a fare una differenza. C'è qualcuno sano di mente che pensa che si potrebbe procedere a questo ritmo? La Cina ha ordinato 44 nuove centrali nei prossimi 40 anni per raddoppiare la sua potenza produttiva. Ma si avvia ad essere il principale consumatore di energia...".
Ci sono altri ostacoli lungo questa strada?
"Io ne conto cinque, e adesso vi dico il secondo. Non sappiamo ancora come trasportare e stoccare le scorie. Gli Stati Uniti hanno straordinari scienziati e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all'interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l'area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l'Italia crede di poter far meglio di noi? L'esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili".
Ecoballe all'uranio, un pensiero da brividi. E il terzo ostacolo?
"Stando agli studi dell'agenzia internazionale per l'energia atomica l'uranio comincerà a scarseggiare dal 2025-2035. Come il petrolio sta per raggiungere il suo peak. I prezzi, quindi, andranno presto su. Ciò si ripercuoterà sui costi per produrre energia togliendo ulteriori argomenti a questo malpensato progetto. Aggiungo il quarto punto. Si potrebbe puntare sul plutonio. Ma con quello è più facile costruire bombe. La Casa Bianca e molti altri governi fanno un gran parlare dei rischi dell'atomica in mani nemiche. Ma i governi buoni di oggi diventano le canaglie di domani".
Siamo arrivati così all'ultima considerazione. Qual è?
"Che non c'è abbastanza acqua nel mondo per gestire impianti nucleari. Temo che non sia noto a tutti che circa il 40% dell'acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori. L'estate di cinque anni fa, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali che passarono sotto silenzio fu che scarseggiò l'acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l'erogazione di energia elettrica. E morirono ancora più anziani per mancanza di aria condizionata".
Se questi sono i dati che uso ne fa la politica?
"Posso sostenere un dibattito con qualsiasi statista sulla base di questi numeri e dimostrargli che sono giusti, inoppugnabili. Ma la politica a volte segue altre strade rispetto alla razionalità. E questo discorso, anche in Italia, è inquinato da considerazioni ideologiche".
In che senso? C'è un'energia di destra e una di sinistra?
"Direi modelli energetici élitari e altri democratici. Il nucleare è centralizzato, dall'alto in basso, appartiene al XX secolo, all'epoca del carbone. Servono grossi investimenti iniziali e altrettanti di tipo geopolitico per difenderlo".
E il modello democratico, invece?
"È quello che io chiamo la "terza rivoluzione industriale". Un sistema distribuito, dal basso verso l'alto, in cui ognuno si produce la propria energia rinnovabile e la scambia con gli altri attraverso "reti intelligenti" come oggi produce e condivide l'informazione, tramite internet".
Immagina che sia possibile applicarlo anche in Italia?
"Sta scherzando? Voi siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c'è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili".
Ci dica come si affronta questa transizione.
"Bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un'opzione, ma un obbligo comunitario quello di arrivare al 20%: voi da dove avete cominciato? Oggi il settore delle costruzioni è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, domani potrebbe diventare parte della soluzione. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla".
Oltre che motivi etici, sembrano essercene anche di economici molto convincenti. È così?
"In Spagna, che sta procedendo molto rapidamente verso le rinnovabili, alcune nuove compagnie hanno fatto un sacco di soldi proprio realizzando soluzioni "verdi". Il nucleare, invece, è una tecnologia matura e non creerà nessun posto di lavoro. Le energie alternative potrebbero produrne migliaia".
A questo punto solo un pazzo potrebbe scegliere un'altra strada. Eppure non è solo Roma ad aver riconsiderato il nucleare. Perché?
"Credo che abbia molto a che fare con un gap generazionale. E ve lo dice uno che ha 63 anni. I vecchi politici, cresciuti con la sindrome del controllo, si sentono più a loro agio in un mondo in cui anche l'energia è somministrata da un'entità superiore".
(7 giugno 2008)
"Figlio mio, lascia questo Paese"
Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.
Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.
Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.
Preparati comunque a soffrire.
Con affetto,
tuo padre
L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.
(30 novembre 2009)