Perchè il Blog


La politica è arroccata su posizioni di potere, priva di ideali e di idee...

I politici credono di essere decisori "eletti" del nostro domani e con arroganza utilizzano mezzi leciti e illeciti per perseguire i propri obiettivi, spesso personali, calpestando il mandato che gli viene dato dagli elettori.

La politica di oggi è una convivenza di "Cricche" nelle quali interessi forti comprano le agende politiche a scapito degli interessi della maggioranza e del benessere di tutti.

Come recitava Gaber "libertà è partecipazione" e questo blog vuole la partecipazione di Tutti coloro che condividono che la politica è un bene comune, che deve mettere in prima posizione una visione etica della società nei comportamenti individuali e di gruppo a prescindere dall' essere di Destra, di Centro e di Sinistra.

Questo blog vuole mettere in prima posizione il confronto di idee, opinioni e proposte per occupare lo spazio lasciato vuoto dalla politica e tenere un presidio di democrazia che abbia come cuore la Società Civile.

Solo mettendoci la faccia possiamo pensare di costruire un domani dove poter migliorare la qualità della nostra vita e essere fieri di crescere i nostri figli.


Visualizzazione post con etichetta fanno riflettere. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fanno riflettere. Mostra tutti i post

mercoledì 16 giugno 2010

Una società senza baroni ( e possibilmente senza università) di Ilvo Diamanti (Repubblica)

Pare che gran parte dei problemi del paese siano riassumibili nel binomio vizioso Statali-Professori. Certo, altre categorie sono, da tempo, bersaglio di critiche durissime. Fra tutti: i magistrati. Ma loro, almeno, hanno potere. Altrimenti non continuerebbero ad essere, dopo tanti anni, al centro di attacchi – sempre più duri - da parte del premier e della classe politica - soprattutto, ma non solo – di centrodestra. Degli statali, invece, “non glie ne frega niente” a nessuno, ormai. La manovra finanziaria del governo, per metà, grava su di loro. Il che - al di là del merito – non ha sollevato nessuna reazione, nessuna protesta. Quasi che, ormai, non si attendessero alcun ascolto. Perché reagire se non ti aspetti alcuna solidarietà sociale - visto che, da fannullone quale sei, il tuo stipendio è, per definizione, rubato?

La posizione dei professori universitari è, in parte, diversa. Difficile sostenere che non contino nulla. Ma, sicuramente, sempre meno. D’altronde, nell’università (iniziale minuscola) non si investe più. (Come nella Cultura: iniziale maiuscola.) Un ambiente in cui è lecito risparmiare, “tagliare”, se hai bisogno di ridurre la spesa pubblica. Tanto la colpa è soprattutto loro. Dei Baroni. Che costano tanto e fanno poco. Anzi, nulla. In fondo sono “statali”. I Baroni: non si riesce a mandarli via. Fino a pochi anni fa andavano in pensione quasi a 80 anni. Poi, l’età della pensione, per loro, si è abbassata. Fino a 70. Raro caso – forse unico - in cui si spinge per anticipare l’età della pensione, invece di ritardarla. Ma, come si sa, i Baroni non solo costano, fanno poco o nulla. In aggiunta, impediscono il reclutamento dei più giovani. Visto che, ormai, l’età media dei ricercatori si aggira intorno ai 50 anni. Mentre l’università si è popolata di figure precarie che più precarie non si può. Assegnisti, borsisti, contrattisti. Chiamati, per quattro soldi (e a volte neppure quelli) a far di tutto. Anche lezione, ovviamente. Come i ricercatori – sempre più attempati, ma ancora ricercatori. E chiamati, ovviamente, a tenere corsi, a fare anch’essi i “professori”. Senza esserlo. Anzi, restando ricercatori – a vita. Visto che il reclutamento è bloccato (non dai Baroni) e loro sono divenuti un ruolo “a esaurimento”. Rimpiazzati da nuovi ricercatori – ma a tempo determinato. Tanto per chiarire che il futuro dell’università è incerto. A tempo determinato, appunto. Come la cultura. Di eterno, ormai, c’è solo il presente. E il premier.

Così, per rimediare, per svecchiare il corpo docente, per ridurre la spesa universitaria, per accelerare il turnover, conviene spingere i Baroni fuori dall’università il più presto possibile. Va in questa direzione la proposta del PD approvata dall’Assemblea nazionale: mandare i Baroni in pensione “ obbligatoria” a 65 anni. Mario Pirani, nella sua “Linea di confine”, una settimana fa ha già espresso, al proposito, critiche molto accurate. Da me, molto condivise. A cui aggiungerei un appunto. Molto personale – lo ammetto.

Riguardo all’invecchiamento dei Baroni, ma anche gli altri: i Conti e gli Scudieri. Gli Associati e i Ricercatori. I quali sono “vecchi” non (tanto) per colpa dei Baroni, eterni e immortali. Ma del meccanismo stesso che regola il reclutamento e le carriere nell’università. Autobiograficamente: io, che non ho avuto Baroni a trainarmi, ma molti colleghi e maestri, con i quali ho collaborato, studiato, scritto e pubblicato, ebbene, sono diventato di “ruolo”, ho, cioè, vinto il concorso di ricercatore, quando avevo 40 anni. Prima - e per 14 anni - ho fatto il precario. A mia volta: assegnista, borsista, “ esercitatore”. E poi dottorando e dottorato. Per mantenermi (ma anche per passione), ho diretto un ufficio studi sindacale, poi ho fatto il ricercatore di professione. Così come, durante gli studi universitari, per sostenere i costi e aiutare la famiglia, ho fatto molti altri “lavori”. Fra l’altro: il benzinaio, l’assicuratore, il venditore di enciclopedie, l’operaio. Un’esperienza veramente formativa.

Poi, a 40 anni, dopo tanti anni precari, tante ricerche e tante pubblicazioni (non avere Baroni ha i suoi lati positivi; in particolare: sei più libero), finalmente ricercatore. E quindi uno stipendio regolare per fare quel che mi piace e avevo, comunque, fatto da sempre. Per questo non l’ho mai concepito come un “lavoro”. Da allora, pochi anni dopo, sono divenuto un Barone (ora si dice così). Anche se come Barone sono un disastro, a valutare dalla capacità di curare la politica interna all’accademia (per informazioni, chiedere ai colleghi – più giovani - che collaborano con me). Preferisco fare ricerca, scrivere, insegnare piuttosto che gestire i concorsi. Se davvero mi chiedessero di andare in pensione a 65 anni, temo che, alla scadenza, non raggiungerei i requisiti minimi di anzianità richiesti. A meno di non “riscattare” (si dice così?) gli anni della laurea, del dottorato, ecc… A un costo, mi si dice, tale da azzerare i primi anni di pensione. Per fortuna, ho ancora un po’ di tempo – un po’ di anni di università - davanti, per organizzarmi.

Tuttavia, dubito seriamente che, al mio posto e con il mio stipendio, entrerebbero tre nuovi, giovani ricercatori, come si ipotizza. Intanto perché di giovani, all’università, non ne vedo più. I collaboratori, intorno a me, ormai hanno i capelli bianchi, hanno messo su famiglia, sprezzanti del rischio: hanno persino fatto figli. Magari potessero subentrare a me, loro, precari ad alta qualificazione e con “tanti tituli”. Se così fosse davvero, me ne andrei prima. Anche subito. Magari all’estero, dove in un paio di università, almeno, e in un paio di paesi, almeno, un vecchio Barone come me troverebbe ancora posto. Senza molti problemi

Ma continuo a dubitare che al posto dei Baroni 50-60enni, subentrerebbero davvero tanti giovani ricercatori. Credo e, anzi, temo che – invece - il “taglio” avverrebbe con pochi rammendi. Senza turnover. Chi è fuori ci resterà, raggiunto dai neopensionati. Tutti in cammino verso una società senza (o meglio: con sempre meno) “statali”. E senza Baroni. Verso una società popolata da lavoratori autonomi. Artigiani, commercianti, liberi professionisti. Imprenditori. Grandi, medi, piccoli e piccolissimi. E da lavoratori dipendenti. Ma Privati. D’altronde, come rammentava Eugenio Scalfari domenica scorsa, “gli statali votano in larga maggioranza a sinistra”. E, aggiungo, i Baroni ancor di più. “Il loro scontento non peserà, se non marginalmente, sul consenso raccolto dal governo”. Perché mai, dunque, dovrebbe preoccuparsene il governo insieme alla Lega e al centrodestra?

Mi sfuggono, semmai, i motivi, le ragioni per cui ci stiano pensando l’opposizione e il PD. Forse perché è più facile – e popolare - combattere i Baroni che il Cavaliere.

(31 maggio 2010)

lunedì 14 giugno 2010

"Figlio mio, lascia questo Paese"

di PIER LUIGI CELLI

Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.

Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.
Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre

L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.


(30 novembre 2009)